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I fantasmi del Natale: perché mi sento come Scrooge?

Periodo natalizio, per molti uno dei periodi più belli dell’anno. Strade agghindate a festa, vacanze dagli impegni lavorativi e scolastici, regali per le persone più care e non solo.

Tutto verte nel poter creare una magica atmosfera di calore tra le persone. Periodo di gioia, per molti ma non per tutti. Tante persone vivono i giorni delle feste natalizie come uno dei momenti più tristi dell’anno.

Lo stereotipo di “felicità e buonismo”, perpetrato in buona parte anche a scopo commerciale da messaggi pubblicitari, si scontra spesso con l’irrisolto e sofferente mondo interno che molte persone si trascinano dentro più o meno inconsapevolmente.

La richiesta sociale, e in parte culturale, di dover aderire, anche se solo per pochi giorni, al modello di “famiglia raccolta amorevolmente attorno al focolare domestico”, si scontra, in alcune persone, con la riattivazione di propri “fantasmi” interiori che tornano a farsi sentire come una lontana eco indesiderata.

Quello che dovrebbe essere per antonomasia un periodo di felicità diviene, per alcuni, un potente evocatore di vissuti depressivi. 

Una mirabile parabola di tali meste manifestazioni interiori ci viene dal famoso classico  della letteratura “Canto di Natale” di Charles Dickens. Nel bellissimo racconto si narra la rocambolesca avventura di una notte del protagonista, il famigerato Ebenezer Scrooge. Personaggio emblema dell’antiNatale: avaro, misantropo, giudicante, incapace di provare gioia ed empatia. Non a caso tale nome è diventato a tutt’oggi un termine d’uso comune per indicare una persona di animo cinico e sprezzante, quasi un archetipo dei sentimenti negativi e dell’odio verso il Natale.

Ma torniamo al citato racconto; tratteggiato il terribile carattere del nostro protagonista/antagonista, Dickens ci lancia poi immediatamente nell’incredibile viaggio/catarsi notturno in cui il nostro antieroe dovrà necessariamente fare i conti con i propri fantasmi interni. Si comincia con il passato, comprendiamo così una verità tanto lapalissiana quanto non considerata: nessuno nasce “cattivo”.

La durezza e l’asprezza di Scrooge, di chi mal tollera il Natale, ha le sue radici in una serie di percezioni e sensazioni negative vissute nella propria infanzia: il senso di solitudine, di emarginazione, di abbandono. Sentimenti negativi che portano l’individuo a costruire un Muro difensivo attorno a se per lasciare gli altri fuori (e qui ci concediamo un’ulteriore citazione ad una mitologica opera rock!), anche le persone in realtà più care. 

Viene poi concessa una incredula pausa dal surreale tuffo nel passato per dover fare subito dopo i conti con il presente. Il secondo viaggio offre a Scrooge la possibilità di osservarsi dall’esterno, Dickens ci mostra come il potersi mettere in una posizione di forzata e temporanea oggettività dia la possibilità di confrontarsi con gli impietosi ed inconfutabili “dati di realtà”. La cosa è dolorosa e quasi crudele per il protagonista, davanti ai suoi occhi ci sono i frutti dell’aridità seminata negli anni, guardando indietro il senso di solitudine provato diventa ora una profezia autoavverante che non fa altro che ripetersi.

Il presente è poi il preludio ad un’amaro futuro. Scrooge scorge infatti ciò che sarà del suo aver vissuto preda della sua amarezza verso gli altri, verso gli affetti: una solitaria lapide a cui nessuno è veramente interessato. 

Sin qui la morale è chiara: se non ci liberiamo del dolore e della sofferenza rischiamo di vivere un’esistenza avvolta in una gelida e solitaria nebbia depressiva. 

Ma c’è una speranza: a Dickens (fortunatamente) non piacciono i finali negativi, il popolare scrittore statunitense è un tipo da bicchiere mezzo pieno e delinea una chiara via d’uscita: la consapevolezza della nostra storia nella sua interezza, nel bene e nel male. Nel ritorno al passato Scrooge rivede se stesso fanciullo; un bambino ancora in grado di gioire e pieno di speranze. In quel punto sembra suggerire uno dei movimenti interni più terapeutico che ci sia: il prendere contatto con la parte più pura e sana di sé. Non siamo solo esseri destinati ad essere “sporcati” dai mali della vita, possiamo continuare a sperare, parti di noi sopravvivono sempre, anche sotto cumuli di macerie. In un passaggio che è quasi commovente Dickens descrive in poche righe il doloroso ma terapeutico momento di rappacificazione interna: 

“…e Scrooge prese posto su una panca e pianse a vedere il suo povero sé dimenticato, così com’era stato un tempo.” 

Forse è cosi che quindi si sente chi prova avversione verso questo periodo dell’anno, forse è questo che andrebbe compreso prima di eventualmente giudicare, forse è anche in questo modo che possiamo ritrovare della serenità in una storia di sofferenza. 

Dott. Marco Mauceri